La Cometa che perse la coda



Il mese di dicembre fa scorrere le sue brevi e fredde giornata; presto il buio chiude l'orizzonte, spesso infuocato da tramonti increrdibili per lasciare il posto, quando il tempo è sereno e gelido, a uno scintillio di stelle da Presepio.
E' ora di cominciare i preparativi e i bambini sono sempre più impazienti.
Si rinnova la trepidazione dell'attesa per la  nascita di Gesù Bambino e la dolcezza inonda i pensieri e si riflette nel sorriso e nello sguardo di chi si incontra, anche degli sconosciuti, anche nella fretta di un saluto.
Natale si avvicina.
Manca ancora qualche settimana, ma bisogna cominciare a ispezionare scatoloni e sacchi, custoditi tutto l'anno in posti remoti della casa, dai quali ora riemergono personaggi e cose assortite di varia natura, tutto per dare nuovamente vita alla magia del Natale,qui,nella nostra casa.
Sassolini, paglia, carta dipinta, statuine, ognuna con la sua storia e il suo posto nella rappresentazione dello scenario più dolce del mondo e infine eccola, il segno celeste del divino evento, la Stella Cometa...ma subito qualcuno si accorge di qualcosa di strano: la Cometa non ha più la sua spendida coda di luce!
Forse nel riporla, l'anno passato, si è staccata, chissà...nessuno se n'è accorto allora.
C'è chi dice: mettiamola al suo posto in alto, sulla capanna, è bella anche così!
Ma la Stella non è d'accordo: una Cometa senza la coda non ci  può stare, la prenderebbero tutti in giro e lei si sentirebbe morire di vergogna.
C'è ancora un po' di tempo prima della Santa Notte,la Cometa cercherà di ritrovare il duo luccicante strascico, dovesse girare tutto il firmamento.
Promette a tutti gli abitanti del Presepe  di tornare in tempo  per la nascita del Bambinello e poi deve indicare la strada ai magi, guidare i pastori svegliati nella notte dagli Angeli e parte con la speranza nel cuore.
Il primo che incontra è il Vento, con il suo grande mantello sempre svolazzante di aria freddissima
"E' tempo di tramontana, faccio rabbrividire tutti, senti la mia voce che sibila? Uuuuhhh uuuhhh"
"Hai visto per caso la mia coda,Vento? Là sulla Terra non ce n'è più traccia e io sono tanto preoccupata!"
Il Vento, in  inverno non è molto garbato, a primavera se ne riparlerà di gentilezza, ma adesso:
"Sono troppo occupato ad ammucchiare nuvole e nuvoloni e poi a disperderli di nuovo   e con tutto il fumo che viene dal basso, cosa vuoi che abbia visto, bella mia!"
E questo è tutto quello che la povera Cometa ha  in risposta.
Continua la ricerca tentando con il Sole, che a dire il vero  le mette un po' di soggezione, ma si fa coraggio e ripete la sua richiesta.
"Cara" ,il Sole le risponde in tono paterno, "di questi tempi sono un po' stanco, vedi come sono pallido, mi si vede poco nel cielo.
Riesco appena a far giungere sulla Terra un po' di tepore; i miei raggi si devono fare strada tra nubi e nebbia e talvolta sto nascosto per giorni interi e il Gelo regna sulla terra.
Eppure continuo a illuminare il giorno, anche se è così breve e la mia luce è debole:questo  è l'Inverno, cara, come posso occuparmi anche della coda delle comete!Buona fortuna a te"
"Almeno il Sole è stato più gentile" pensa la cometa, salutandolo e facendosi coraggio ripensando a quel buon augurio.
"Chiederò alla Luna, lei è sempre in mezzo alle stelle" si propone, speranzosa.
La Luna , rotonda e pallida nella notte invernale di plenilunio,
lo sguardo assonnato, tra uno sbadiglio e l'altro, con una voce flautata, strascicando le vocali,dice:"Tuuutta la noootte quassù, a raccogliere i sospiiiiri degli innamorati, a suggerire ispirati veeeersi ai poeti, non vedo l'oooora di farmi un bel sooonno!Io non ti pooosso  aiutare davveeero, mi dispiaaace assai, bella steeella miaaa!"
Sempre più dubitosa del buon esito della sua ricerca, con il tempo che passa inesorabile tra  Cielo e Terra, la cometa guarda in giù e vede tutti gli esseri umani indaffarati nei preparativi per la grande Festa:luci dappertutto, da lassù la Terra sembra un grande Presepe.Un movimento frenetico di gente con pacchi e pacchetti; già si intrecciano gli auguri e i saluti.
Lo spirito del Natale si diffonde tra gli uomini, e risveglia sentimenti e propositi buoni,solidarietà e amicizia, desiderio di pace e serenità.
 La cometa pensa con nostalgia al piccolo Presepe che la sta aspettando, al suo posto, sulla Capanna dove sta per nascere il Salvatore.Deve affrettarsi...
La Notte trascorre, gelida e serena, con il suo grande mantello trapuntato di stelle luccicanti nell'immensità oscura.
C'è un'aria incantata nel silenzio avvolgente, un'aria di attesa.
La Cometa decide di fare l'ultimo tentativo.
Con un grande batticuore, consapevole che in quel momento si sarebbe deciso il suo destino, brevemente ripete  alla Notte la sua storia e  rivolge anche a lei la sua domanda, quasi una preghiera.
la Notte, maestosa regina del Firmamento Stellato, l'ascolta impassibile e alla fine,con voce rassicurante e carezzevole risponde:
"Con un po' di spirito di adattamento, possiamo rimediare!
D'altronde è Natale e tutti siamo chiamati ad essere migliori, aiutarsi e volersi bene!"
Nel cuore della Cometa si riaccese la speranza, insieme ad un'infinita gratitudine per le parole della Notte, che chiama vicino a sè una miriade di stelline, le più piccole, ma tanto belle e luminose ed esse si dispongono dietro alla Cometa, proprio al posto della coda smarrita, a formare una meravigliosa scia di luce.
La cometa è più felice che mai e non finisce più di ringraziare  con tutto il suo cuore la Notte per il magnifico dono e vuole dire grazie anche a tutte le Stelline, prpprio a tutte, una a una.
Ecco come, grazie a un dono generoso, la Cometa è ritornata al suo posto nel cielo del Presepio, ad annunciare al mondo, con la sua luce sfavillante, la Buona Novella.

Una statuina, una cartolina


"Eccole, mettiamole all'albero...attenzione!!"
Le ultime arrivate, scartate con estrema prudenza dal loro involto di carta velina,  erano due palline di vetro, di un azzurro intenso,che riflettevano i nostri sorrisi ammirati, deformando i visi in modo buffo.
Candide  onde  trasversali intrerrompevano l'azzurro nella parte inferiore delle sfere, e,  a sfiorarle, se ne sentiva il  vellutato rilievo: posto d'onore sull'albero.
Quelle palline, un po' sfarzose rispetto alla modestia di tutto il resto, costituivano un omaggio che la famiglia di amici del babbo ci inviava, come gesto di riconoscenza per l'allestimento di un grande presepe che lui ogni anno realizzava a casa loro, profondendo in quell'operazione tradizionale tutta la sua notevole e risaputa creatività, spesso compensata dal premio destinato dalla parrocchia al più bel presepe del paese.
A casa nostra, noi bambini facevamo l'albero, insieme a lui, ed eravamo semplicemente molto felici di porgere a turno gli ornamenti, tolti con precauzione dalla loro scatola, alcuni pezzi più belli attesi e contesi, che andavano via via a prendere il loro posto tintinnante sui rami del pino, tra gli aghi odorosi.
La magia delle luci intermittenti, sistemate per prime ma accese solo alla fine, accendeva l'atmosfera che ad ogni Natale si rinnova, nell'attesa e nella festa.
Quell'anno, però, proprio alla vigilia, ci venne l'idea del presepio, magari piccolo ed essenziale, per cominciare.
Un po' di tempo disponibile rendeva possibile il progetto.
La corsa affannata di mio fratello per procurarsi almeno le statuine dei Protagonisti, in tempo utile prima che il negozio chiudesse, ebbe un risultato deludente: era rimasto solo un pastorello, con la sua pecora sulle spalle.
Per un attimo il nostro desiderio di avere anche noi il nostro presepio sembrò svanire.
Disappunto e delusione... e poi il babbo aveva già cominciato con carta e listelli di legno a sagomare grotta e monti, anche il cielo era già steso, a proteggere con la sua volta trapunta di stelle la scena della Natività.
Ma la grotta vuota ci riportava alla difficoltà del momento.
Qualche volta la soluzione prende la strada delle semplicità.
Allora si usava inviare le cartoline di auguri, un rito gentile che accompagnava le festività maggiori, prima che altri mezzi lo sostituissero.
Erano immagini affascinanti per noi bambini, spesso ornate da particolari dorati che le rendevano preziose.
Babbi Natali con generosi sacchi di doni, slitte con renne impazienti, abeti addobbati, agrifogli, candeline e paesaggi innevati: tutta la suggestione del Natale passava attraverso quelle figure, che ci portavano parole affettuose  e frasi augurali, spesso un po' stereotipate, ma non importa, di parenti e amici più o meno lontani.
Tra tutte le cartoline, quelle inviate  dalle care anziane zie della mamma si indovinavano senza bisogno di leggere dietro, perché era loro abitudine, derivata da una profonda religiosità e devozione, fare gli auguri con immagini della Natività,che recavano il richiamo più diretto al Natale ed al  messaggio di amore e di pace che da sempre parla al cuore di tutti.
Il babbo prese la cartolina arrivata pochi giorni prima e ritagliò il contorno delle figure, che in quel modo presero un particolare rilievo, avendo cura di ripiegare la parte inferiore per dare stabilità all'immagine e poca paglia accostata al cartoncino servì sia a nascondere il piccolo trucco che a rendere più realistica la stalla.
Finalmente la grotta di carta ospitava la Sacra Famiglia e le umili bestie che riscaldavano il Bambino appena nato.
Qualche casetta di cartone, colorata da noi con le matite, completava il paesaggio, insieme alle chiazze verde intenso del muschio umido, grattato dai muri  e dalle cortecce esposte a nord, e sassi di diverse dimensioni. Sulla stradina di segatura l'unico pastorello, da solo ,si era messo in cammino, con la sua pecora sulle spalle, forse un po' smarrito e stupito per quella inconsueta solitudine.
Quello fu l'unico presepe fatto per noi dal nostro babbo.
Molti anni e molti avvenimenti dopo, il pastorello trovò compagnia in altri presepi di casa nostra, che negli anni hanno accolto la nascita di Gesù Bambino.

Canto nella notte


Una via di mezzo tra un clown e Papà Natale. Ecco come mi appariva la faccia del babbo, insaponata per la rasatura, la nuvola di schiuma, le labbra libere che, per contrasto, mi apparivano molto più rosate del solito.
Labbra che, nonostante l'operazione in corso, continuavano ad essere in movimento.
Infatti anche il tempo di farsi la barba doveva essere messo a frutto e lui ne approfittava per ripetere i passaggi più impegnativi della Missa Pontificalis, che la Schola Cantorum della parrocchia stava ripassando, per accompagnare la Messa solenne di Natale, ormai imminente, e per quell'occasione il coro doveva dare il meglio, ovviamente.
La solennità delle parole in latino scendeva sulla mia testa riccioluta come qualcosa di misterioso e incomprensibile, ma il fatto che il babbo avesse con quei versi tanta confidenza da cantarli durante la toilette quotidiana creava una certa familiarità e anche tanta curiosità.
"Mi ci porti alle prove?".
Le 9 di sera,occorreva essere pronti  con la cena, perché l'impegno delle prove era irrinunciabile ed io tentavo di convincerlo, nonostante lui mi disuadesse: "Ti annoi, è in latino..."
"Ti ho sentito, hai detto "...santa, cattolica, apostolica!"
Insistevo, ripetendo le poche parole del Credo che avevo captato e memorizzato.
Così una fredda sera prenatalizia la spuntai e, col cappottino color cammello abbottonato fino in cima  e la sciarpa che lasciava fuori solo il nasetto, mi avviai alla chiesa per mano a babbo.
La chiesa, fredda e deserta, avvolta nella penombra, incuteva un certo timore, se non fosse stato per la sua presenza rassicurante e raggiungemmo  il parroco e gli altri coristi dierto l'altare, dove era posizionato l'organo.
Era il Pievano stesso a suonare ed a istriure il coro.
 Tutti mi salutarono con affetto e familiarità: "Nini, ci sei anche te, con questo freddo..."
Poi le prime note dell'organo si diffusero nell'aria gelida e, senza staccare le mani dalla tastiera, ad un cenno del capo del sacerdote, le voci cominciarono ad intrecciarsi nel Kirye:
alla profondità dei toni baritonali si contrapponevano i toni alti dei tenori e le voci femminili dei soprano, in un insieme di armonia celestiale.
Io ascoltavo rapita, dalla scaletta dietro l'altare sulla quale avevo preso posto, piuttosto in alto, e di lassù seguivo la complessa melodia, le vocali modulate per cui ogni parola acquistava una solennità totale.
La struttura del Kirye, con le formule ripetute per  tre volte,  senza voler mancare di rispetto né alla religione né alla musica, non è certo la composizione più adatta a trattenere a lungo l'attenzione di una bambina.
Quando poi il Pievano, rilevando alcune imperfezioni, fece un cenno e pronunciò le parole "Da capo", non nego di aver avuto il sospetto che ce l'avesse con me.
Provai a distrarmi in qualche modo, dopo tutto ero in una posizione elevata, a pochi passi dalla culla vuota che presto avrebbe accolto la bella statua di Gesù Bambino, circondata da una corona di luci.
L'ora tarda, il freddo, la mia lotta per non lasciarmi vincere dal sonno era davvero sempre più debole. L'idea della culla, poi richiamava il pensiero del mio lettino. Sentivo la musica  come una ninna nanna   lontana lontana e le mie palpebre si facevano sempre più pesanti.
Il babbo se ne accorse e, prima che cadessi giù dalla scaletta, mi prese in braccio e mi adagiò su una panca vicino a lui.
Il canto continuò a cullarmi e non ricordo come tornai a casa.

Profumo di resina


La "Lacrima Christi" evoca piuttosto la settimana santa, ma per la nostra famiglia era una nota ricorrente del nostro modestissimo e sereno Natale pre-consumistico, poiché con un troneggiante pandoro ( quello nella scatola blu, con i leoni rampanti dorati, tanto per non fare nomi ) ed un'altrettanto rituale bottiglia di spumante dolce, costituiva il garbato omaggio natalizio del più importante fornitore del nostro piccolo negozio, al quale, grazie all'avveduta e prudente amministrazione materna, dovevamo, se non la vagheggiata prosperità, la nostra consapevole e decorosa sopravvivenza.
Ma la porta si apriva sul gelo dell'inverno, umido e ventoso, del nostro paese al limite della palude, mitigato appena dal caminetto fumoso e amatissimo delle nostre Befane, ieratiche e incantate, non solo per lasciar entrare quel gustoso dono, ma soprattutto per far posto all'alberello di pino, strappato da mio padre ( quanta forza, lui sempre così mite!) ai fianchi della collina ancora in buona salute ecologica e, senza nessun rimorso ambientale, trapiantato nella nostra casa, ad occupare quasi tutta una stanza ( eppure fuori sembrava così piccolo...), con un profumo di resina che qualche volta, in sogno, sono certa di sentire ancora.